Schede e approfondimenti

Modelli matematici

A partire dagli studi galileiani sui fenomeni meccanici, che ebbero inizio verso l’ultimo decennio del XVI secolo, fra gli studiosi dei fenomeni naturali si diffuse progressivamente la consapevolezza dell’efficacia di uno studio quantitativo della materia non vivente, effettuato iniziando dalla elaborazione, sulla base di alcune osservazioni preliminari, di un modello matematico del sistema fisico in esame. Questa costruzione astratta è innanzitutto costituita da un insieme di ipotesi (espresse in modo quantitativo) riguardanti la natura ed il comportamento del sistema considerato, che sono ritenute fondamentali per analizzare i fenomeni oggetto di studio che lo coinvolgono; trascurare le caratteristiche che si presume abbiano un ruolo secondario permette di semplificare l’esame del comportamento del sistema. Il quadro teorico così formulato permette di dedurre determinate relazioni matematiche (equazioni) fra le variabili scelte per descrivere il sistema stesso, la cui validità, in merito alla spiegazione dei fenomeni considerati, può essere accertata tramite opportuni esperimenti. Se il risultato di essi fosse in contrasto con le deduzioni ottenute nell’ambito del modello, quest’ultimo dovrebbe essere modificato, oppure dovrebbe esserne formulato uno del tutto diverso.

Generalmente, il primo modello che viene considerato quando si inizia lo studio dei fenomeni meccanici è quello del punto materiale, che consiste nell’ipotizzare che gli oggetti di cui si vuole analizzare il comportamento si identifichino con punti (enti geometrici privi di dimensioni) dotati di massa. Tale ipotesi permette certamente di semplificare lo studio di alcuni casi, come i moti rettilinei degli oggetti, purché le dimensioni di questi ultimi siano trascurabili rispetto a quelle che hanno un ruolo nella situazione fisica considerata; tuttavia, essa non è applicabile quando si desidera studiare i moti di rotazione dei corpi su se stessi, oppure quando i fenomeni da studiare dipendono in modo essenziale dalla loro struttura interna. Per esempio, se si vuole semplificare lo studio del moto di rivoluzione della Terra attorno al Sole, è possibile farlo identificando il nostro pianeta con un punto materiale, poiché le sue dimensioni sono trascurabili rispetto alla distanza dal Sole e dagli altri pianeti; questo, però, diventa impossibile se si desidera analizzare il moto di rotazione della Terra attorno al suo asse oppure se si vuole esaminare l’attività sismica terrestre. In particolare, l’analisi teorica del moto di rotazione diurna del nostro pianeta può essere semplificata adottando il modello del corpo rigido: in tale contesto, si suppone che un corpo sia costituito da un insieme di punti materiali le cui distanze reciproche non cambiano, qualunque sia l’agente applicato. Come il punto materiale, anche il corpo rigido è una astrazione, che descrive tanto meglio il comportamento dei corpi reali quanto minori sono le deformazioni che possono subire.

È importante rilevare che un singolo fenomeno può essere spiegato nell’ambito di modelli differenti, come accade nel caso del moto retrogrado dei pianeti, che si può giustificare sia nel modello copernicano che in quello aristotelico – tolemaico. In genere, se due fissati modelli hanno lo stesso potere esplicativo (ossia permettono di giustificare gli stessi fenomeni), i criteri adottati per scegliere l’uno rispetto all’altro sono la maggiore semplicità (minor numero di ipotesi basilari, minor numero di parametri e di valori che questi possono assumere, eccetera) e il maggiore potere predittivo, ossia la possibilità di prevedere l’esistenza di fenomeni non ancora osservati e di interpretarli in modo soddisfacente. Inoltre, possono coesistere modelli differenti di un dato sistema fisico, poiché ciascuno di essi consente di spiegare solo un numero limitato di fenomeni osservati: ciò si verifica nel caso del nucleo atomico. Infine, lo stesso modello può essere applicato a categorie diverse di fenomeni (analogia matematica): questo accade nel caso dello studio delle oscillazioni meccaniche e di quelle elettromagnetiche nei circuiti elettrici.

Quando la matematica iniziò ad essere applicata in modo esteso allo studio dei fenomeni fisici, molti scienziati (Galilei fra questi) ritenevano che essa fosse uno strumento adeguato per conoscere il mondo reale poiché la struttura di quest’ultimo è intrinsecamente matematica. Dunque, per questi studiosi i modelli matematici avevano un carattere realistico. Inoltre, nel XVII secolo molti fenomeni del mondo inanimato cominciarono ad essere interpretati riducendoli a fenomeni meccanici (riduzionismo meccanicistico), per i quali l’approccio modellistico consentì effettivamente di ottenere risultati straordinari sul piano conoscitivo, fra il XVII e il XVIII secolo. Tuttavia, lo studio approfondito dei fenomeni termici e di quelli elettrici e magnetici fra il XVIII e il XIX secolo e, nel XX secolo, l’avvento della fisica quantistica (che ha un ruolo essenziale nella descrizione dei fenomeni a livello atomico e subatomico), hanno progressivamente determinato da un lato l’abbandono del riduzionismo meccanicistico e, dall’altro, il prevalere di una concezione strumentalista dei modelli matematici (con l’importante eccezione, fra gli altri, di Einstein): secondo tale punto di vista, essi sono semplicemente particolari immagini della realtà, che non hanno alcuna pretesa di rappresentarla con fedeltà assoluta.

I modelli matematici possono essere distinti in due importanti categorie: modelli descrittivi (o positivi) e modelli prescrittivi (o normativi). I primi hanno lo scopo di descrivere, fissate inizialmente alcune condizioni, il sistema in esame così come esso è ad un dato istante, e come si prevede che evolverà successivamente; i secondi, invece, analizzano il modo in cui il sistema dovrebbe essere, poiché hanno il compito di stabilire quali proprietà esso dovrebbe avere affinché siano raggiunti determinati scopi. I modelli matematici utilizzati nelle scienze naturali appartengono alla prima categoria, mentre nella seconda sono inclusi modelli utilizzati ad esempio nell’analisi di problemi di ingegneria gestionale (come il controllo delle fasi di produzione di un prodotto industriale) o nel controllo del traffico aereo. Nell’ambito economico, modelli di tipo descrittivo sono quelli di equilibrio economico generale di mercati liberi da vincoli esterni, mentre sono di tipo normativo quelli riguardanti la ripartizione di risorse scarse all’interno di un insieme di consumatori e i modelli di pianificazione economica, in cui il funzionamento dei mercati è stabilito da regole rigide fissate dallo Stato. A volte, comunque, un modello può contenere aspetti di tipo sia descrittivo che normativo: per esempio, i modelli elaborati per prevedere l’evoluzione del clima devono certamente tenere conto delle leggi che regolano la dinamica atmosferica, ma possono anche includere ipotesi riguardanti le ripercussioni (positive o negative) che una variazione della concentrazione delle sostanze inquinanti nell’atmosfera può avere sul clima, e quindi sulle condizioni di vita degli abitanti del nostro pianeta.

Fino agli inizi del Novecento quasi tutti i modelli matematici, pur nella loro estrema varietà, erano accomunati dalla caratteristica di essere lineari. Ciò significa che, se il termine noto di una data equazione differenziale (dedotta dalle ipotesi del modello) è una funzione f, indicate con A e B due soluzioni indipendenti dell’equazione, corrispondenti rispettivamente ai casi f = fA   e  f = fB , la somma A + B è anch’essa una soluzione della medesima equazione, avente termine noto f = fA + fB : questo è l’equivalente formale del principio di sovrapposizione, che può essere applicato a tutte le equazioni fondamentali della fisica classica. A sua volta, il principio di sovrapposizione può essere considerato uno dei modi più importanti in cui si declinava una convinzione profonda, che caratterizzava la comunità scientifica fino ai primi anni del XX secolo: quella secondo cui “il tutto è la somma delle sue parti”. Con questa espressione si intendeva affermare che il comportamento di ciascun sistema può essere studiato scomponendolo in un certo numero di parti, ciascuna agente in maniera indipendente e simultanea rispetto alle altre: l’evoluzione nel tempo del sistema complessivo è quindi il risultato della evoluzione temporale delle singole parti che lo compongono. Perciò, sotto l’aspetto formale, in base a questa convinzione gli scienziati tendevano ad analizzare teoricamente un determinato fenomeno costruendo un modello lineare, ipotizzando che termini non lineari presenti nelle sue equazioni (che danno origine a interazioni fra due soluzioni A e B) dessero un contributo trascurabile alla comprensione del fenomeno e si potessero quindi omettere dalla struttura matematica del modello, che risultava così molto più semplice. In realtà, nella prima metà del Novecento e soprattutto nei decenni successivi, grazie al massiccio sviluppo dell’informatica, gli scienziati si resero progressivamente conto che, in molte situazioni, i termini non lineari avevano un ruolo importante nella descrizione del comportamento del sistema esaminato: un caso di particolare rilievo è costituito dai fenomeni termici che avvengono in sistemi che si trovano in uno stato lontano da quello di equilibrio (termodinamica di non equilibrio). In tali contesti, non è più vero che “il tutto è la somma delle sue parti”, mentre, in un certo senso, si può affermare che “il tutto è più della somma delle sue parti”. I modelli non lineari sono alla base dello studio dei cosiddetti sistemi complessi e dei fenomeni caotici.