Schede e approfondimenti
La crisi del ’29
Caratteri economici
- Euforia borsistica (prima del crollo)
- Assenza di ammortizzatori sociali efficaci
- Calo della domanda
- Depressione economica
- Deflazione
- Protezionismo
I fattori che spiegano il crollo borsistico del 1929
La crisi del ‘29 fu la più profonda depressione economica che il mondo moderno si trovò a subire. Le sue caratteristiche principali sono così riassumibili: la crisi da sovraproduzione e la deflazione.
24 ottobre 1929 (giovedì nero): crollo della Borsa di New York, il mercato azionario più importante del mondo. Le azioni subirono un brusco crollo di valore e iniziò la più grande recessione economica della storia contemporanea.
Fallirono migliaia di banche e imprese, gettando sul lastrico milioni di americani che si trovarono senza lavoro. Dal 1929 al 1932 negli Stati Uniti il numero dei disoccupati passò da circa 2 a oltre 13 milioni, un quarto della forza lavoro.
Le cause:
- l’eccessivo aumento della produttività a fronte di una domanda interna che non cresceva allo stesso ritmo: si produsse una crisi di sovrapproduzione, le merci rimasero invendute e questo comportò la diminuzione dei prezzi e, di conseguenza, dei salari;
- la mancanza di norme che regolassero il mercato borsistico, segnato così da speculazioni incontrollate.
Anche l’ Europa, dopo la ripresa economica seguita alla 1^ guerra mondiale, si trovò in crisi da sovrapproduzione, aggravata dalla politica di blocco delle esportazioni e elle immigrazioni verso gli USA.
La crisi mostrò tutti i limiti della politica economica liberista e la debolezza delle democrazie liberali, tra cui la conseguenza più grave fu l’ascesa del nazismo in Germania. La crisi del 1929 ebbe un profondo impatto sulla teoria economica: mostrò, attraverso l’evidenza dei fatti, che la legge di Say era ottimistica nell’escludere la possibilità di una crisi da sovraproduzione e che i tradizionali meccanismi di mercato non erano sufficienti a garantire la crescita economica,specie quando intervengono processi speculativi di vasta portata.
La dimensione finanziaria e quella economica della crisi
- L’economia europea era strettamente legata con quella USA e la crisi economica statunitense giunse anche in Europa: il crollo di Wall Street ebbe immediati riflessi su tutte le Borse europee, con conseguenze disastrose soprattutto per il sistema bancario e monetario europeo .
- Nonostante l’interdipendenza economica tra i diversi Paesi, gli Stati la affrontarono in modo autonomo, ricorrendo soprattutto a politiche protezionistiche: in questo modo il commercio mondiale si ridusse di un terzo.
- La maggior parte degli Stati europei, infatti, decise di ricorrere alla svalutazione della moneta e all’isolamento dal mercato mondiale (protezionismo);
- Si assiste al declino delle attività produttive e commerciali, ma anche le campagne furono colpite, a causa del calo dei prezzi agricoli.
- La disoccupazione salì e portò a una crisi sociale (in Germania la situazione fu particolarmente grave a causa dei debiti relativi alla Prima Guerra Mondiale).
- La miseria diffusa portò a un peggioramento delle condizioni di vita: aumentarono le malattie fisiche e psichiche, i casi di malnutrizione e mortalità infantile, gli episodi di criminalità e di violenza.
Perché le risposte di politica economica adottate dai governi USA e europei inizialmente hanno aggravato la crisi invece di risolverla
Inizialmente il presidente Hoover (repubblicano ) e i governi europei reagirono tagliando la spesa pubblica e aggravando la disoccupazione e la recessione. Hoover decise di ricorrere all’intervento diretto dello Stato, attraverso la concessione di prestiti alle imprese e finanziando opere pubbliche, ma fu un intervento tardivo e limitato che non riuscì ad arginare la crisi, e gli Usa entrarono in una nuova stagione di recessione nota come «Grande depressione».
Il crollo dei prezzi generale (deflazione) e l’aumento della disoccupazione portarono ad una gravissima crisi sociale negli Usa e in Europa.
Le linee di fondo del New Deal di Roosevelt
La crisi fece emergere la necessità di inserire nella struttura economica dei meccanismi regolatori in grado di intervenire a monte degli eventi speculativi, ma soprattutto la necessità di un insieme di strumenti in grado di garantire il sostegno della domanda aggregata quando questa non era in grado di mantenersi a livelli alti in maniera spontanea.
Durante la campagna elettorale per le elezioni del 1932, il candidato democratico alla presidenza Franklin Delano Roosevelt promise ai suoi elettori un New Deal, un “nuovo corso” che avrebbe condotto alla ripresa economica.
- Lo Stato non doveva limitarsi a sorvegliare il corretto funzionamento del capitalismo, ma intervenire attivamente a regolare l’economia di mercato (teoria di Keynes), favorendo la concorrenza, la contrattazione tra imprenditori e dipendenti, la formazione di associazioni a tutela dei consumatori :
- Riorganizza il sistema bancario: chiuse o ristrutturò le banche più deboli, rafforzò quelle più solide e la Federal Reserve Bank ( a banca centrale del Paese) assunse il compito di gestire la politica monetaria e controllare periodicamente gli istituti di credito. Roosevelt era convinto che nessuna misura sarebbe risultata efficace se i cittadini non avessero ritrovato fiducia nel sistema bancario.
Altri interventi
- Nel settore dei lavori pubblici, con progetti di rimboschimento, manutenzione e sfruttamento dei sistemi idrici, in cui trovarono lavoro oltre mezzo milione di disoccupati;
- Accelerazione del processo di urbanizzazione (boom edilizio crea nuova occupazione)
- Nel settore agricolo, con incentivi per diminuire la produzione di alcune colture, come il cotone, per favorire l’aumento dei prezzi e quindi dei profitti;
- Nel settore industriale e energetico, concedendo alle grandi imprese di fare accordi fra loro – con controllo governativo – per non far scendere i prezzi e sostenendo le aziende che accettavano di stipulare contratti collettivi con i sindacati per garantire minimi salariali e stabilire un limite all’orario di lavoro.
Di fronte all’acuirsi delle tensioni sociali, nel 1935 Roosevelt impresse una svolta «a sinistra» all’azione di governo, proponendo un «secondo New Deal». Il programma prevedeva:
- L’obbligo per gli industriali di negoziare le condizioni di lavoro con i sindacati;
- L’istituzione di uffici del lavoro incaricati di controllare il rispetto dei contratti;
- La creazione di un primo sistema nazionale di sicurezza sociale (Welfare State), che prevedeva l’attivazione di pensioni per i lavoratori arrivati a una certa età;
- Nuove leggi contro i monopoli privati;
- Una riforma fiscale che colpiva soprattutto le classi più ricche.
Il New Deal fu la più valida risposta democratica alla crisi economica e sociale e lasciò un segno profondo nella società americana.
Il critico più incisivo delle teoria economiche neoclassiche e l’osservatore più lucido di cause e conseguenze della crisi del ‘29 fu l’economista inglese J. M. Keynes.
La sua produzione teorica fu vasta, ma le sue opere principali furono:
- Trattato sulla moneta (1930)
- Teoria Generale dell’occupazione dell’interesse e della moneta (1936)
Keynes confuta la tesi degli economisti classici secondo cui la recessione si cura da sola; a suo parere non esiste alcun meccanismo automatico in grado di riportare il sistema economico alla piena occupazione, se mai esso vi fosse stato in precedenza. Nel 1935 G.B.Shaw riceve una lettera da Keynes in cui questi afferma: “sono convinto che il libro di economia che sto scrivendo cambierà radicalmente […] il modo in cui sono stati sinora concepiti i problemi economici.”In effetti la “Teoria Generale” rivoluzionò la teoria e la pratica economiche. In numerose occasioni, anche prima della crisi, Keynes critica la metafora della mano invisibile di Smith e l’ottimismo di Say, mostrando esplicitamente di apprezzare le intuizioni pessimistiche di Malthus.
La crisi gli fornirà ulteriori elementi a sostegno della sua tesi circa l’importanza determinante della domanda aggregata. Il bersaglio esplicito delle critiche keynesiane è la legge di Say nella quale l’economista francese ipotizzava l’impossibilità di una crisi di sovraproduzione e di deflazione in quanto era l’offerta a creare la propria domanda; Keynes amplia le intuizioni di Malthus a proposito della possibilità di una crisi da eccesso di offerta e ritiene che sia la domanda la variabile critica; per questo egli centra la sua attenzione sul ruolo giocato dalla domanda aggregata, cioè la domanda dell’insieme degli operatori presenti nel sistema economico. Keynes parte dal presupposto che il sistema economico sia caratterizzato in via generale da livelli di equilibrio di sottoccupazione e che solo occasionalmente e temporaneamente esso raggiunge la piena occupazione; in altre parole Keynes accetta l’idea di Walras dell’equilibrio generale, ma non condivide la posizione dei neoclassici che tale equilibrio debba essere necessariamente quello ottimale. Secondo Keynes una crisi di sovraproduzione è un’ipotesi tutt’altro che improbabile, perché i soggetti che costituiscono la domanda aggregata (famiglie e imprese) agiscono secondo logiche diverse e per certi aspetti contrapposte. condo Keynes il compito di “spingere” verso l’alto la domanda aggregata deve essere affidato alla spesa pubblica; il sistema non è in grado spontaneamente di raggiungere e mantenere il livello di equilibrio di piena occupazione; in altri termini, la “mano invisibile” di Smith non è in grado di garantire la massima efficienza economica. Nascono le economie miste dove lo Stato attraverso il Welfare e la politica fiscale interviene nell’economia.
Fonti bibliografiche
- Festa, G. Sapelli, Capitalismi. Crisi globale ed economia italiana , Boroli, 2009
- J.K. Galbraith, Il grande crollo. Che cosa ci ha insegnato sul capitalismo la grande depressione, BUR, 2013 (1’ed.: 1954)
- Gazier, La crise de 1929, PUF, 2011 (1’ed. 1982)
- Sabatini (a cura di), John Maynard Keynes, Come uscire dalla crisi, Laterza, 2004 (1’ed. it.: 1983)
Libri e film sull’argomento
- Hans Fallada, E adesso pover’uomo?, Sellerio, Palermo, 2008.
E adesso pover’uomo?, Frank Borzage, 1934 - Horace McCoy, Non si uccidono così anche i cavalli?, Terre di Mezzo, Milano, 2007.
They Shoot Horses, Don’t They? (Non si uccidono così anche i cavalli?), Sydney Pollack, 1969. - John Steinbeck, Furore, Bompiani, Milano, 2013.
The grapes of wrath (Furore), John Ford, 1940.
Altri materiali
- Modern Times di Charlie Chaplin (1936, b/n, con sonoro, ma senza dialoghi, 85min)
- Film completo, lingua originale
- Commenti al film
- Foto a colori della grande depressione
- Programma televisivo con commento dello storico Lucio Villari e immagini d’epoca che testimoniano il passaggio, negli USA, dalla crescita economica e finanziaria degli anni Venti, alla crisi e infine al superamento della crisi con il NewDeal roosveltiani